Compressore: Teoria e Pratica

 

Parametri di controllo identici hanno spesso comportamenti differenti su differenti modelli di compressore: non a caso, capire a fondo il suono di una macchina può richiedere ore di lavoro.
Il motivo di ciò è spesso legato all’inviluppo usato per lo stadio di amplificazione,
nonché all’impiego di tecnologie differenti per l’analisi del segnale di controllo (sidechain) e per il circuito di prelievo e controllo.
In quest’ottica, ogni compressore è un universo sonoro a parte.

L’attivazione del circuito di riduzione dell’amplificazione del compressore, in risposta alla variazione del livello in ingresso, è soggetta a un ritardo, che dipende dalla combinazione di quattro elementi fondamentali: le caratteristiche proprie dei circuiti (rapidità di risposta), il tipo di sistema per la determinazione del livello (picco, RMS), le costanti di tempo applicate (tipicamente attacco e rilascio) e la topologia di controllo (feedback o feed-forward).
È importante, inoltre, comprendere come non siano i valori dei tempi di azione a determinare il risultato sonoro della compressione, ma piuttosto le durate e
le ampiezze relative dell’inviluppo finale, che dipende dall’inviluppo originale e da tutti i parametri elencati.
Si deve notare, infine, come valori e parametri identici (ad esempio attacco 0.05 secondi e rilascio a un secondo) non siano valori assoluti: i tempi e le curve sono diversi in base al modello di compressore utilizzato, sia perché le definizioni stesse dei parametri non sono universali, sia perché esistono diversi controlli interni che possono essere indicati con lo stesso nome (per esempio costante di rilascio applicata e costante di rilascio complessiva).
Al fine di velocizzare il lavoro è sempre possibile memorizzare una serie di valori di riferimento che possono guidarci nell’impostazione di massima del compressore, ma è poi sempre necessario procedere a orecchio e valutare il risultato finale.

La compressione può essere applicata sull’intero segnale in ingresso o esclusivamente sulla porzione che oltrepassa un determinato livello chiamato soglia (Threshold).
Quest’ultima può essere fissa o variabile: nel primo caso, potremo controllare l’attivazione del compressore utilizzando un controllo di guadagno in ingresso per spingere il segnale sopra o sotto il valore di soglia preimpostato.
Nel secondo caso, invece, agiremo spostando manualmente la soglia (cioè la sensibilità della macchina) sul livello desiderato.
Queste due soluzioni progettuali, entrambe valide, corrispondono a un diverso funzionamento interno della macchina e si traducono in caratteristiche tecniche diverse (ad esempio sul fronte del rapporto segnale/rumore).
Un tipico compressore a soglia fissa è UREI 1176, mentre SSL 4000 Buss Compressor è un modello a soglia variabile.
Le due tipologie di controllo possono anche essere disponibili contemporaneamente.

Il rapporto di compressione (Ratio) definisce una proporzione tra il valore
di superamento della soglia in dB e l’attenuazione del segnale originale.
Il parametro è normalmente espresso come un rapporto, una misura di quanto dobbiamo aumentare il livello in ingresso per ottenere un incremento di 1 dB in uscita.
Ad esempio 1:1 indica l’assenza di compressione, 10:1 indica una compressione spinta (l’ingresso deve salire di 10 dB per ottenere un incremento di 1 dB in uscita), ∞:1 indica una compressione totale o limiting (occorrerebbe un aumento di infiniti dB in ingresso per ottenere un aumento di 1 dB in uscita).
Il parametro di Ratio è un altro elemento che contribuisce a influenzare il suono della compressione: un rapporto alto (intervento deciso) comporta un’azione più
incisiva del processore, a volte necessaria per prevenire livelli eccessivi (come nei limiter) o per ottenere un effetto più evidente.
Un rapporto basso consente, generalmente, un’azione più trasparente.

La percezione sonora è legata a variazioni di pressione dell’aria in cui siamo immersi.
Le tecniche di registrazione e riproduzione sono basate su una corrispondenza tra la pressione sonora e il segnale.
Ne sono un esempio il movimento nella capsula di un microfono, l’ampiezza di una
tensione elettrica in un cavo, il livello di magnetizzazione su un supporto magnetico o la profondità di un solco su un supporto plastico.
In tutti questi casi è sempre possibile misurare un livello istantaneo, che è convenzionalmente identificato come livello di picco.
Il segnale elettrico derivato dal segnale audio è genericamente una oscillazione
con segno positivo o negativo, cioè intorno ad un punto zero.
Per l’ampiezza ci si riferisce pertanto ad un valore assoluto, cioè il segnale privato del segno positivo o negativo.
Il livello di picco varia molto velocemente, ma non è indicativo delle caratteristiche percettive del suono perchè non tiene conto del nostro modo di ascoltare, basato sull’integrazione nel tempo del segnale da cui deriva il concetto di loudness.
Ci può essere quindi un metering riferito ad un valore medio che può essere definito matematicamente.
Basta pensare alla lunghezza del campione su cui calcolare la media, o la
velocità con cui la media viene calcolata,ed altre opzioni.
Uno tra i modi più utilizzati per indicare la scala è il cosiddetto valore
quadratico medio, cioè la radice quadrata della media del quadrato del livello.
Un tale calcolo, oltre a fornire un valore medio e come tale più significativo dal punto di vista della percezione, risolve anche il punto del valore assoluto, essendo il quadrato sempre positivo.
Un altro punto fondamentale è la scala adottata per il processamento.
Il suono, per ragioni pratiche e fisiologiche, si analizza spesso su scala logaritmica.
Questo permette sia di utilizzare degli intervalli più pratici ed intuitivi per fader o meter, che di approssimare meglio il comportamento dell’udito.
La scelta della scala di metering è fondamentale quando si applica una elaborazione audio.
La determinazione del livello, sia istantaneo che medio, può essere eseguita in scala lineare o logaritmica, così come tutte le operazioni che portano alla compressione.
Per determinare la compressione da applicare si ragiona in scala logaritmica. Una volta determinato il livello in ingresso, cioè, lo si trasferisce in scala logaritmica e da lì si prosegue con i confronti (threshold), la determinazione
del guadagno da applicare, l’applicazione delle costanti di tempo, etc.
Questa non è una scelta obbligata, si può procedere diversamente per ottenere risultati musicalmente differenti, ma è comunque la più comune.

La trasmissione del segnale tra apparecchiature analogiche avviene grazie
a una serie di differenze di tensione.
L’ampiezza del segnale trasferito è tradotta in un valore di tensione proporzionale
e in pressione sonora: una grandezza fisica, dunque, segue l’altra per analogia
(tensione -> livello di pressione sonora, da cui la definizione di “analogico”). Ancora, l’intervallo di valori in cui la macchina può operare definisce la nostra dinamica analogica disponibile: questo range è delimitato in basso dal rumore di fondo (valori inferiori sarebbero indistinguibili dal rumore) e in alto dalle proprietà dei circuiti elettrici/elettronici impiegati, nonché dalla potenza disponibile in alimentazione.
Se, da un lato, un intervallo analogico molto ampio ci permette di ottenere una buona dinamica, grazie alla distanza dal rumore, dall’altro corrisponde a più alti costi produttivi.
Per quanto riguarda i livelli operativi, nel tempo è stato necessario definire
standard che permettessero un facile ed efficiente interfacciamento tra diverse
apparecchiature, anche di produttori diversi.
Per processori audio come i compressori, i livelli più utilizzati sono identificati in -10 dBV in ambito casalingo e +4 dBu in ambito professionale.
Si tratta sempre, comunque,di valori di riferimento orientativi, che devono essere integrati con quello della cosiddetta “headroom” disponibile.
Questa indica di quanto è possibile incrementare ulteriormente il segnale prima di generare distorsione significativa.

Per collegare apparecchiature analogiche al nostro sistema digitale è fondamentale, come primo passo, inquadrare e allineare gli intervalli di tensione utilizzati.
Nel caso più semplice, compressore analogico utilizzato come processore esterno accanto a una DAW, l’interfaccia tra mondo digitale e analogico è costituita dai nostri convertitori D/A e A/D.
In ambito digitale si utilizza una scala parallela, un’astrazione rispetto al mondo fisico, che esprime il livello digitale con riferimento al fondo scala, cioè il massimo numero che il nostro sistema può gestire.
L’unità di misura di questa scala è il dBFS, cioè decibel riferito al fondo scala.
Perché questo valore possa poi essere rapportato al nostro sistema analogico è
indispensabile collocare la scala digitale lungo quella analogica, per essere sicuri
che:
– i livelli elettrici trasferiti non siano mai eccessivi, generando distorsione
– i livelli elettrici non siano troppo bassi, facendo prevalere il rumore analogico
– i convertitori A/D e D/A lavorino con risoluzione residua accettabile (dBFS in
uscita e in ingresso non troppo bassi. Si tenga presente che, in questo caso, la
risoluzione digitale pesa due volte: in uscita e in ritorno)
Una buona taratura di partenza può essere ottenuta con queste impostazioni
– convertitori A/D e D/A con riferimento +4dBu
– segnale in ingresso e uscita con picchi massimi prossimi a -10 dBFS

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